18 July 2019
18 July 2019

Elogio della tenacia

Giampiero Pinzi

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Avanti e indietro, incessantemente, lungo lo stesso tragitto. Il prìncipio delle vasche, Giampiero Pinzi, non l’ha mai dimenticato nel corso della sua ventennale carriera: dalla borgata romana di Centocelle, dov’è cresciuto causando non pochi grattacapi alla compianta mamma Rosa, agli stadi di tutta Italia, declinando man mano la fanciullesca esuberanza nell’atteggiamento solerte, indomito e combattivo che ha fatto breccia nel cuore d’ogni singolo tifoso dell’Udinese. Pragmatismo e sostanza, agonismo e metodo, senza mai omettere la componente passionale, com’è giusto che sia: quattro punti cardinali, più uno, sui quali Giampiero ha gettato le granitiche fondamenta delle sue trecentocinquantacinque partite con la maglia bianconera, che lo rendono il terzo recordman per presenze della nostra storia alle spalle di due mostri sacri del calibro di Totò Di Natale (446) e Valerio Bertotto (404). Umili ideali che trasudano nobiltà, che hanno spinto mister Igor Tudor ad inserirlo nella sua équipe tecnica: per trasmettere ai nostri giocatori, nuovi e non, che cosa voglia dire difendere i nostri colori. I medesimi che oramai due decenni or sono convinsero il nostro DT Pierpaolo Marino, allora direttore sportivo, alla sua prima e decennale gestione in terra friulana, lunga ben 5393 giorni, a prenderlo dalla Lazio come contropartita tecnica nell’ambito della trattativa che l’anno seguente condusse sulla via della capitale Stefano Fiore e Giuliano Giannichedda, per 55 miliardi delle vecchie lire. 
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All’epoca del trasferimento a Udine, difatto, Giampiero interagiva già da un paio d’anni con la prima squadra biancoceleste, che lo aveva snidato dall’ALMAS, squadra dilettantistica che pressappoco un ventennio prima diede in dono alla Roma un certo Giuseppe Giannini. A fargli da maestro, invece, c’è Matías Almeyda: non proprio uno a caso per stile di gioco e storie di vita, dato che entrambi vanno a collocarsi tra i pochi eletti che dagli spalti sono giunti a difendere la squadra del cuore sul campo. Il River Plate per «El Pelado» come la Lazio per Pinzi, perseverando sulla sacra rotta del nomotetismo storico. La domenica calcistica di Giampiero segue un rigoroso schema, soprattutto per le trasferte, anche perché spodestare uno tra Simeone e Verón era un’ardua impresa: treno, da lì dritto all’hotel della squadra, caccia ai biglietti e infine stadio, come un tifoso. Un giorno di ottobre, ironia del caso, Sven-Göran Eriksson gli propone una scommessa, da buon scaramantico qual è. «Se questo weekend vinciamo a Udine verrai sempre con noi», gli giura il «rettore di Thorsby», che è sempre stato uomo di poche parole, e a quelle poche ha sempre tenuto rigorosa fede. Diciassette giorni dopo però, il tecnico svedese regalerà a Giampiero una soddisfazione ben più grande di un posto allo stadio: il debutto in Champions League, in trasferta, contro la Dinamo Kiev. Nella sua unica annata in tinte biancocelesti Pinzi colleziona quattro presenze, delle quali tre in Coppa Italia, vincendo quest’ultima e lo Scudetto pur senza esordire mai in campionato. Durante i festeggiamenti per il secondo tricolore, di scena al Circo Massimo, Luca Marchegiani lo nota tra la folla, intento a sventolare un bandierone: lo esorta a salire sul pullman con la squadra, ma lui decide di restare tra i tifosi. Perché Giampiero, il gioco del calcio, l’ha sempre vissuto così: come un sogno, e con smisurata passione.
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Nella trattativa che porta Giampiero a Udine Pierpaolo Marino riesce a mettere in piedi un autentico capolavoro, versione calciomercato: l’allora DS vende sì Giannichedda e Stefano Fiore alla Lazio, ma riesce a garantirsi il diritto di tenerseli in bianconero per un’ulteriore annata. In aggiunta, oltre ai 55 miliardi di lire, si assicura Pinzi, fresco di medaglia d’argento agli Europei con l’Italia under-19. Idee limpide e scommesse commisurate, quelle adoperate da Marino, che hanno contribuito a trascrivere diversi capitoli di storia del nostro club. L’esperienza di Giampiero, d’altro canto, muta in un costante divenire, tra tenacia e determinazione. Al primo anno in bianconero Pinzi colleziona sedici presenze tra De Canio e Spalletti, aiutando la squadra a vincere la Coppa Intertoto, meritata ricompensa dopo un’immeritata eliminazione in Coppa UEFA, per mano del PAOK, e poi a raggiungere la semifinale di Coppa Italia. Dell’anno seguente, invece, oltre alle trentatré partite disputate, resta indimenticato lo scenario del primo gol, in trasferta contro l’Hellas Verona: alla quattordicesima giornata, a tre giri di orologio dal termine della gara, con un tiro in spaccata che in panchina strappa un sorriso al tecnico Roy Hodgson, catturato e reso cult dalle telecamere. Ne segnerà un altro, a San Siro, contro l’Inter: il primo di tre in carriera, contro i nerazzurri, vittima preferita di Pinzi insieme al Milan di Kaká, di gran lunga l’avversario più forte mai incontrato, a suo (credibile) dire. Un’ottima stagione sotto il profilo individuale, seppur di transizione per la squadra, che culminerà con il bronzo all’Europeo under–21 disputato in Svizzera: un preludio di traguardi ben più grandi, per il working-class hero venuto dalla città eterna, ma anche per l’Udinese. 
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Nel successivo triennio infatti, targato Luciano Spalletti, Pinzi si conferma incontrastato condottiero del nostro centrocampo, incarnando perfettamente il cuore e le fameliche aspirazioni della squadra, soprattutto se viene usato l’insieme dei risultati ottenuti come chiave di lettura: novantasei gettoni distribuiti tra tutte le competizioni e arricchiti da 7 gol, che rendono Giampiero una figura nevralgica nelle due qualificazioni consecutive in Coppa UEFA e a quella successiva in Champions League nella stagione 2004-2005, frutto di un meraviglioso quarto posto in Serie A. La classe operaia in paradiso, potremmo dire. Che si rende forma tangibile in una maglia azzurra, quella dell’Italia. Claudio Gentile dapprima lo convoca per il trionfante Europeo under–21, in cui Pinzi segna la rete decisiva contro il Portogallo, in semifinale, e poi per i Giochi Olimpici di Atene in cui gli azzurrini (tra cui Andrea Pirlo, Barzagli, De Rossi e Gilardino), stavolta, sono costretti nel penultimo atto allo strapotere argentino e del capocannoniere del torneo, l’inarrestabile Carlos Tévez, che ne segna 8. Un escalation costante e ampiamente guadagnata sul campo quella di Giampiero, condotta su due fronti paralleli: nel 2005 il CT Marcello Lippi lo fa debuttare in Nazionale maggiore, contro l’Islanda, a Padova, in buona compagnia degli altri bianconeri De Sanctis, Iaquinta e Di Michele. L’anno seguente, invece, complice il ritiro del totem bianconero, Valerio Bertotto, Giovanni Galeone gli consegna la fascia di capitano dell’Udinese. Un’investitura importante, ma logorata dai tanti problemi fisici che obbligheranno Pinzi a disputare solo tredici partite, prima del passaggio in prestito al Chievo Verona nell’estate del 2008.
Se l’Udinese rappresenta l’amore di un vita, come raccontato da Giampiero in una lunga intervista di pochi mesi fa, i clivensi rappresentano invece un’amicizia stracolma di ricordi: per essere precisi due salvezze di fila ed un sorprendente nono posto in campionato, con Rolando Maran al timone. Il tutto intramezzato dall’acclamatissimo ritorno in Friuli, durante la splendente éra di Francesco Guidolin. Nella seconda vita bianconera di Pinzi gioie e amarezze coabitano, l’una in funzione dell’altra, senza poter fare a meno l’una dell’altra, perché in fin dei conti l’essenza più primordiale del calcio proprio questa è: si và dal quarto posto del primo anno al leggendario terzo gradino del podio della stagione successiva, alle spalle di Juventus e Milan. Dalla scottante eliminazione ai play off di Champions per mano dell’Arsenal alla vendetta sul PAOK nei sedicesimi di Europa League. Dal gol in semirovesciata contro la Fiorentina al placcaggio su Stewart Downing, ad Anfield Road, definito con tono goliardico «the best foul ever» da alcuni sostenitori dei «reds», in un’altra notte magica. Senza mai far mancare leadership e culto del lavoro, o consigli e incoraggiamenti ai compagni di reparto più giovani, che ad oggi calcano i grandi palcoscenici del calcio mondiale: come Pereyra, Asamoah, Gökhan Inler, Allan, Zieliński e Bruno Fernandes, giusto per citarne qualcuno. Il sentimento di Giampiero per la piazza e per la maglia risponde presente anche nella sua ultima annata a tinte bianconere, terminata con una salvezza per la squadra di Andrea Stramaccioni, fresco erede di Guidolin. Tempo di saluti, ma non di addii. Solo un semplice arrivederci: dopo 350 e più partite, altrettante maglie generosamente sudate, 19 reti, il record di cartellini gialli della Serie A (149, tra Udinese e Chievo) e così tanti palloni rubati agli avversari che, per sicurezza, nella voce statistiche, bisognerebbe mettere il simbolo dell’infinito.
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Christian Brocchi lo chiama al Brescia, in Serie B: una piazza piuttosto fumantina, anarchica, ancora leggermente stordita dal rischiato fallimento dei mesi precedenti, dove peraltro Giampiero si ritrova con un altro ex Udinese, Stefano Mauri, che ha indossato la maglia bianconera per due stagioni, tra il 2004 e il 2006. Alla fine sarà salvezza per le «rondinelle», ma non senza faticare: un traguardo al quale Pinzi contribuirà con 31 presenze e un gol. L’ultimo in carriera, che per certi versi rassomiglia tanto il primo, a distanza di anni e anni: sempre decisivo per il 2–1 e sempre contro una squadra veneta, col Vicenza in luogo dell’Hellas Verona, e sempre a tre minuti dal triplice fischio finale. In compagnia di Mauri e Andrea Caracciolo Giampiero è senatore d’uno spogliatoio traboccante di giovani talentuosi che – guarda caso – l’anno prossimo giocheranno tutti in Serie A: Leonardo Morosini, Sandro Tonali, Filippo Romagna, Emanuele Ndoj, Federico Bonazzoli e Dimitri Bisoli tra i vari. Ed è stato proprio il padre di quest’ultimo, Pierpaolo, a portarlo con sé al Padova l’anno successivo, pochi giorni dopo la gara di Coppa Italia tra il Brescia e i biancoscudati. Giusto il tempo per Giampiero di vincere a mani basse il Girone B della Lega Pro e la Supercoppa Italiana di categoria, con ventinove presenze totali. Nello scorso gennaio l’annuncio ufficiale del ritiro dal calcio giocato, a trentotto anni, nonostante le diverse proposte sulla scrivania pervenute dalla Serie D, e il posto nell’équipe tecnica di Igor Tudor. Giampiero Pinzi si appresta a vivere la sua terza vita bianconera: in un ruolo inedito, tutto nuovo, sì, ma sempre all’insegna della passione e della tenacia che si è portato dietro per vent’anni di carriera. All’insegna di quei valori che lo hanno reso grande. 
BUONA FORTUNA GIAMPIERO

Articolo a cura di Daniele Pagani