30 agosto 2019
30 agosto 2019

István Lodovico Pollack

Il primo straniero

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Colui che in Ungheria è stato István, l’incoronato, e che in Italia è diventato Lodovico, il sapiente. Un tentativo di armonizzare i due nomi, da un punto di vista etimologico, potrebbe risultare un’impresa ardua, fantasiosa e alquanto audace per chiunque, certamente non di immediata lettura. Tranne che per una sola persona, ed una solamente: dalle parti di Udine, all’immagine dell’allenatore ungherese Otto Krappan, non si lega solamente la leggendaria promozione in Prima Divisione, datata 1925, ma anche l’apparizione del primo calciatore straniero, o non italiano, della storia del nostro club. Da un punto di vista calcistico e culturale la figura di István Pollack non può essere ridotta esclusivamente alla sua più basica rappresentazione pioneristica, dunque a mera chiave di lettura per comprendere radici e venature del movimento esterofilo dell’Udinese. E anzi, al contrario: il talentuoso interno di centrocampo, all’occorrenza fantasista, giunse in Friuli per esplicito desiderio dell’allora presidente Francesco Dormisch, titolare dell’omonimo birrificio, su consiglio dal suo vice, Gino Rojatti, per essere d’esempio ai tanti giovani presenti all’interno dello spogliatoio bianconero dell’epoca. In buona compagnia dei senatori, quali Enzo Dal Dan, Gino Belotto, il portiere macchiaiolo Franco Lepizer e Giuseppe Liuzzi II, István ha ampiamente contribuito a spargere i rigogliosi semi di un pròspero avvenire: quello che nella seconda metà degli anni venti porterà agli onori della cronaca talenti del calibro di Aldo Spivach, il primissimo allievo di Pollack, nonché suo diretto erede, Annibale Frossi, Walter D’Odorico, Alfredo Foni e poi Ferdinando Dal Pont, giusto per citarne alcuni.
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«Incoronato come saggio», per via della grande esperienza e dell’elevato tasso tecnico, István venne ribattezzato Lodovico proprio da Otto Krappan, come già spiegato testé, che probabilmente mirava a decantarne l’indole generosa e matura, tassativamente posta a servizio del collettivo. La stessa che, non a caso, conquistò anche il secondo allenatore bianconero di quella stagione, György Hlaway: un altro ungherese, d’indole burbera e quanto mai pragmatica, che negli anni a venire guiderà anche la SPAL e il Brescia. D’origini ebraiche, inoltre, Lodovico viene altresì ricordato per esser stato il primo calciatore nella storia dell’Udinese a percepire uno stipendio e delle ricompense economiche legate alle prestazioni: soldi ben spesi, senza dubbio. Perché nei suoi sette mesi di militanza in bianconero Pollack ha disputato 14 partite infilando 6 reti nella Lega Nord del campionato di Prima Divisione, e tre di queste sono arrivate nelle prime due giornate: la prima al debutto contro l’Inter, e le altre due contro il malcapitato Pisa nel turno seguente. Ai nerazzurri di Milano segnerà ancora, ma sulla falsa riga della gara di andata sarà un incontenibile Luigi Cevenini a suggellare il doppio trionfo interista. Come, purtroppo, durante quel biennio, trionferanno anche le leggi fascistissime: avversarie ben più pericolose del ruvido e ostinato mediano di turno. Che convinceranno Lodovico a tornare István, per ritirarsi a vita privata, in patria, a distanza di un solo anno dal suo approdo in Friuli. 
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Quella di Pollack in Italia potrebbe essere circoscritta come una diaspora tutta solitaria e personale: una scelta di vita decisamente agli antipodi rispetto alla rotta intrapresa dai suoi vecchi compagni di squadra dell’Hakoah Vienna, club in cui István è approdato al sorgere degli anni venti, e che poi ha fatto da trampolino di lancio per il suo arrivo in Italia. Nato a Sarajevo il primo giorno di gennaio del 1900, ancora al di sotto del vessillo austro ungarico, Pollack ha iniziato a dare del tu al pallone nelle giovanili del Kerübat di Budapest, prima di vestire la maglia simboleggiante della «forza ebraica» in Austria, per l’appunto. L’Hakoah venne fondato nel 1909 da due sionisti austriaci, il dentista Herman Ignaz Körner e il cabarettista Fritz Löhner-Beda, entrambi accesi sostenitori del Muskeljudentum: la teoria del giudaismo muscolare con la quale Max Nordau invitò il popolo ebreo a cercare una nuova forma di emancipazione identitaria e culturale attraverso lo sport, nel congresso di Basilea del 1898. Quelli dell’Hakoah, a dirla tutta, li riconosci subito: maglia bianca e azzurra, stella di Davide sul petto, squadra dei pugili al seguito in tutte le trasferte, tanto per scongiurare le provocazioni antisemite, o per rispondere a dovere, e lo scrittore Franz Kafka presenza fissa in tribuna nelle gare interne. Dopo aver battuto 5–0 il West Ham nel 1922, diventando così la prima squadra dell’Europa continentale ad aver ragione degli inglesi a casa loro, l’Hakoah vinse il campionato nel 1924-1925. Di quella squadra formidabile facevano parte giocatori leggendari come Béla Guttmann, Moses Häusler ed il fantasista Ernő Schwarz: idolo nonché mentore di Pollack, all’epoca uno degli elementi più giovani del gruppo guidato da Arthur Baar. Ad onor di cronaca, tutti e tre, seguiti da altri sette compagni, decideranno di piantare i picchetti negli States dopo una tournée di dieci partite nell’anno successivo, e fonderanno due club: uno a New York e l’altro a Brooklyn, che si ricongiungeranno nel ’29 per vincere la National Challenge Cup come Hakoah All-Stars. Tranne Pollack, proprio lui. Che ha scelto l’Italia, e Udine, per essere incoronato dalla storia, diventando il primo straniero a vestire la nostra maglia.

Articolo a cura di Daniele Pagani