29 marzo 2019
29 marzo 2019

Armando Bernardinis

Giocatore, alpino e eroe

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Del laureato in legge, botanico, musicologo e poeta Julius Kugy due cose erano certe: che conoscesse ogni singolo sentiero delle Alpi Giulie come le proprie tasche e che, dalle vette più alte di esse, la sua voce declinasse in narratrice onniscente delle eroiche gesta dei suoi commilitoni, propagandosi grazie alla ridondanza dell’eco e al divenire del mito. Di Julius, al quale sono stati dedicati un rifugio alpino, una piazza e un busto di bronzo, nonostante un primo arruolamento nelle milizie austro–ungariche, ci resta un’importante citazione: «a tutti gli alpinisti auguro di trovare una montagna che li accompagni per tutta la vita». E proprio lì – tra i due Pizzi, il Monte Piper e la Forchia Cjanalot – è nata la leggenda di Armando Bernardinis: figlio di Enrico, proveniente da una famiglia di modeste origini e friulano doc. Dal calcio alla guerra, nel ricordo di una leggenda.
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Dapprima sedicenne ala destra di belle speranze con la maglia bianconera, durante la stagione 1913-1914, e poi tenente della settantesima compagnia del «Gemona» durante la Prima Guerra Mondiale. Bernardinis nacque il 6 novembre del 1896, stesso anno in cui l’insegnante di ginnastica Antonio Dal Dan fondò l’Udinese Calcio (circa due mesi prima, l’8 settembre) insieme ad alcuni dei suoi ginnasti – tutti ragazzi di età compresa tra i sedici e i diciassette anni – per prendere parte al Primo Campionato Nazionale dei Giochi, andato in scena a Treviso proprio nella prima metà di settembre. Durante quella manifestazione i nostri riuscirono ad avere ragione della Turazza di Treviso e della Ginnastica di Ferrara, aggiudicandosi così l’ambito gonfalone in seta, ricamato a mano e impreziosito da piccole definizioni in oro: uno «SCUDETTO» vinto sul campo ma mai riconosciuto, poiché la Federazione ancora non esisteva e sarebbe sorta solamente l’anno successivo. Armando, dopo aver preso parte al primo campionato di Promozione Veneto–Emiliano nel 1913 con l’Udinese, si arruolò nell’esercito italiano nel 1914 svolgendo l’addestramento militare in quel di Modena, prima di essere assegnato all’8° Reggimento Alpini della nostra città con il grado di sottotenente.
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 Dalla maglia bianconera alla divisa del «Gemona», dal manto erboso del football alle vie impervie del confine alpino, con la piccola cittadina di Pontebba spaccata in due. A sudovest la parte italiana, a nordest quella austroungarica (poi rinominata Pontafel). Dalla tattica calcistica, per vincere una partita, a quelle belliche per sconfiggere gli avversari in una sfida mortale. Dagli scarpini in cuoio, muniti di tacchetti, agli SCARPETS, il vero mezzo attraverso cui gli alpini guidati da Bernardinis – all’epoca nemmeno ventenne – riuscirono ad avere la meglio sulle truppe nemiche. La prima offensiva contro la linea austriaca avvenne infatti il 26 maggio del 1915, nella zona presidiata dal ventisettesimo reggimento della fanteria di Stiria e dal nono battaglione del Tiroler Jäger, tra i due Pizzi, la Forchia Cjanalot e il Monte Piper. Ma se in quella occasione il «Gemona» ottenne un successo a metà, vincendo sì la battaglia, ma senza riuscire a consolidare la posizione conquistata, di certo non si può dire lo stesso in merito alla secondo attacco. La concretezza del rischio, che talvolta premia chi sa osare. Armando la medita e la escogita, poi la passa a Kugy, che come detto conosce la zona come le sue tasche e approva la strategia del tenente. Rifinisce per il gol vittoria il capitano del «Gemona», il nobile Carlo Mazzoli, ribattezzato il «Garibaldi della Val Dogna» per la simile capigliatura e routinario nel ricompensare economicamente i suoi soldati in base alla riuscita delle missioni. Il 30 luglio del 1915 Bernardinis e le sue truppe scalano un canalone apparentemente inaccessibile, DRIBBLANO l’esercito austriaco a passo di scarpets, che grazie alle suole in gomma permisero ai trenta alpini del «Gemona» di sorprendere alle spalle il nemico, catturando 5 ufficiali e 80 soldati: un BELLICOSO GOL che permise ad Armando di conquistare la fama di eroe nazionale e la prima medaglia d’argento al valore. Per la seconda, invece, bisognerà aspettare il 1917: anno decorato, sì, ma che purtroppo coincide anche con la caduta del nostro calciatore-eroe, datata 29 agosto, in seguito ad un’offensiva sugli altopiani della Bainsizza.
«La grande vittoria italiana sugli altopiani della Bainsizza volle assurto nel suo fulgore il giovane eroe, capitano non ancora ventunenne, che colà cadde il 29 agosto ‘17 e più non muore all’amore, al ricordo e all’ammirazione dei suoi commilitoni». Così recita l’epigrafe posta sulla tomba di Bernardinis: la cui scomparsa si avvicina ormai al secolo e due anni, ma la cui memoria non potrà mai e poi mai sbiadire. Il 30 marzo 1930 il gagliardetto degli alpini di Sant’Osvaldo, a lui intitolato, fu benedetto e omaggiato con costanti e reverenziali pellegrinaggi al Cjanalot: una tradizione che è andata avanti fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale e che è stata poi ripresa dal gruppo di Malborghetto–Valbruna. In quel di Pontebba, ai piedi del Pizzo Orientale, gli è stato dedicato un ricovero nel 1954, ad oggi mantenuto dall’associazione MAI DAUR e soggetto ad una prima ristrutturazione nel 1987 e un’altra, più recente, nel 2001. E infine il nostro omaggio, il 5 ottobre del 2016, quando nei pressi del parco Moretti è stata ricollocata la lapide in memoria dei nostri 15 calciatori scomparsi in battaglia: un evento a cui hanno preso parte anche il CONI e il Comune della città, seguito poi da una commovente commemorazione presso l’Hotel Astoria – la sera stessa – insieme al tenente colonnello Umberto Salvador e i giornalisti Guido Gomirato, Umberto Sarcinelli, Bruno Pizzul, Roberto Collini e Flavio Pressacco. Una serata all’insegna del calcio come promotore per la pace. Ovviamente nel ricordo di Armando Bernardinis: figlio di Enrico e friulano doc, calciatore dell’Udinese ed eroe di guerra, il cui ricordo non potrà mai svanire.

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Nomi sulla lapide: Armando Bernardinis, Gino Baletti, Luigi De Fanti, Camillo Perico, Mario Paroni, Giuseppe Lorenzon, Brenno di Lenna, Antonio Giuliani, Giuseppe Missio, Giovanni Bo, Sergio Gymsai, Antonio Famea, Adolfo Montico, Giovanni Pecile e Adriano Sbuelz.



Daniele Pagani