
La Svezia come specchio di una vita migliore, la vocazione per l’assist come marchio di fabbrica. Nel percorso umano e calcistico di Ken Sema subentrano in gioco diversi elementi ma, di certo, nessuno tra questi appartiene alla dimessa e illogica casistica. Piuttosto si tratta di decisioni da ponderare, di conseguenze a cui far fronte, della capacità di adattarsi al cambiamento nello stesso istante in cui la vita decide di alzare l’asticella. Lo sanno bene anche mamma Kiadila, detta Kia, e il padre, Ndongala, che nel 1987 furono costretti a lasciare Kinshasa, quando il Congo era ancora Zaire, perché il nonno materno di Ken si dichiarò politicamente schierato contro il regime totalitario di Mobutu, scorgendo nell’Europa un porto sicuro in cui attraccare. Il programma di protezione dell’ONU li portò in Belgio, ma poco dopo i coniugi Sema decisero di muovere la prua più a nord: prima ad Åsele, poi nel freddo e criptico cuore della Lapponia, nel villaggio di Lycksele, e infine a Norrköping, città presto declinata nel più stretto sinonimo di casa. E proprio lì il ragazzo, l’ultimo di quattro figli, ha iniziato a coltivare la sua passione per il Gioco: in principio nelle giovanili del Sylvia, la sua prima squadra, che sarà tale anche nel professionismo, e poi in quelle dell’IFK, dove arriverà sino alle porte dell’Allsvenskan con Janne Andersson, oggi CT della Nazionale svedese. L’uomo che, pur non avendolo mai fatto esordire tra i grandi, non ha mai dimenticato il suo talento, tanto da regalargli sei apparizioni con la «blågult» tra il 2017 e il 2018 (oltre a pre–allertarlo per lo scorso Mondiale, dopo l’infortunio di John Guidetti).