Una delle chiavi per aumentare lo spettacolo e la competitività del campionato può essere la riduzione delle partecipanti o si lavorerà per mantenere il numero attuale di squadre?
“Credo che non bisogni cadere nel tranello che meno squadre voglia dire più equilibrio e tasso tecnico superiore. Chiaro che i club più impegnati vedano come un vantaggio giocare meno partite a livello domestico perché così possono accedere a tornei europei ed internazionali che garantiscono maggiori entrate ma la riduzione delle squadre in serie A andrebbe ad impattare su un format collaudato con il rischio di rendere il calcio elitario, totalmente legato agli interessi dei più forti e soprattutto renderebbe la Serie A più debole come prodotto audiovisivo rispetto alla nuova Champions League e agli altri tornei organizzati da UEFA e FIFA. La Serie A a 20 squadre è un modello virtuoso che permette di essere in linea con le principali leghe europee come Premier e Liga Spagnola. Una serie A a 20 consente inoltre di ambire alla partecipazione alla massima serie professionistica città importanti che ancora oggi sono escluse. Si pensi a bacini come Bari, Catania, Palermo. Il valore del calcio italiano non può prescindere dal prestigio che potrà avere nel mondo con la partecipazione di tante città che sono espressione di eccellenze italiane uniche nel mondo. Solo l’Italia può offrire un panorama di città e di Regioni così uniche. Il Calcio Italiano deve credere a questa propria unicità; oil calcio potrà essere sempre più un motore di economia del turismo per attrarre investitori, spettatori e tele utenza. La Regione Friuli-Venezia Giulia in questo è un esempio virtuoso perché ha saputo intravvedere queste potenzialità.
Infine, un’ultima domanda: quali sono le priorità per i club di Serie A al momento? Con quali istanze lei e gli altri consiglieri in quota Lega Serie A vi presenterete in queste prime fasi?
La Serie A è un asse portante del nostro calcio, credo che la priorità sia tenere un dialogo istituzionale con la federazione che permetta di proseguire nel percorso di riforme appena avviato per rendere sempre più attrattivo il nostro calcio partendo dalla sua espressione di vertice.
La riforma di criteri finanziari che sappiano educare tutti i club a comportamenti virtuosi per ridurre l’indebitamento e sappiano stimolare ad investimenti sempre più funzionali al miglioramento dello spettacolo sportivo è un obiettivo che certamente la FIGC deve porsi.
Ma, come detto, la priorità è anche la riqualificazione degli stadi e la semplificazione di normative che permettano, in sintonia con gli organi di governo, di tenere alta la competitività della Lega Serie A sullo scenario internazionale; penso, ad esempio, alle questioni di ordine fiscale. Il Calcio Italiano è uscito da un evento pandemico come il COVID-19 che non è stato solo un dramma umano nazionale ma che ha messo in ginocchio il calcio che ha saputo, nonostante tutto, reggere senza alcun aiuto o contributo. Ora è tempo che il Governo sappia guardare il calcio della Serie A non come un conclave di imprenditori ma come un importante asset dell’economia italiana con specificità e complessità che vanno comprese e supportate. Solo la programmazione anche normativa e fiscale potrà aiutare il Calcio Italiano! Le istituzioni sportive devono saper dialogare ed esprimere una propria narrazione diversa a livello istituzionale. Il Calcio è il fenomeno sociale più importante del Paese ma è anche un incredibile generatore di ricchezza che produce ogni anno come pochi settori economici sanno produrre. Questo sinora non è stato compreso e riconosciuto a livello istituzionale. C’è molto da fare ma a Udine il lavoro e la fatica non spaventano”.